La giustizia italiana è una macchina complessa e affascinante, anche se spesso troppo lenta e dispendiosa. Il procedimento (civile, penale o amministrativo che sia) è un lungo percorso all’interno del quale le parti coinvolte cercano di far valere i propri diritti. Per fare ciò, occorre che ognuno giochi le sue carte, dimostrando di avere ragione agli occhi del giudice. Ogni processo, in genere, è un duello ad armi pari: attore contro convenuto; ricorrente contro resistente; pubblico ministero contro imputato. La legge consente a tutti di difendersi, garantendo perfino il diritto al gratuito patrocinio al ricorrere di alcune condizioni reddituali. Come far valere i propri diritti in tribunale? Come dimostrare i fatti a sé favorevoli? Semplice: portando in giudizio le prove.  I mezzi probatori sono tutti quegli strumenti che consentono a una persona di avvalorare la propria tesi difensiva: si pensi a un documento (un contratto, una semplice ammissione di un debito, ecc.), a un testimone, a un perito oppure a un filmato. Tutto ciò che è idoneo a dimostrare un fatto può (tendenzialmente) entrare come prova in un giudizio. In particolare, la testimonianza è il mezzo di prova per eccellenza: essa consiste nella deposizione di una persona terza estranea agli interessi delle parti. A volte, pur di avere un testimone a proprio favore si farebbe di tutto: si sarebbe disposti anche a pagarlo. Il problema, però, è che una condotta del genere può costituire reato, in quanto contrasta con la funzione propria del testimone. Se ritieni che questo argomento possa interessarti, prenditi qualche minuti di pausa e continua nella lettura: vedremo se pagare un testimone è reato.

Testimonianza: cos’è?

La testimonianza è un tipico mezzo di prova consistente nel racconto proposto da una persona terza ed imparziale. In buona sostanza, il testimone è quella persona chiamata a deporre davanti all’autorità giudiziaria su tutto ciò che sa intorno ai fatti oggetto del giudizio. Una testimonianza è valida solamente se resa da persona estranea ai fatti, cioè che non abbia un interesse concreto nel procedimento, e che abbia assistito direttamente, coi propri occhi, a ciò di cui parla. Pertanto, sarà assolutamente nulla una testimonianza basata su voci di corridoio oppure “per sentito dire”.

Testimonianza: come funziona?

La testimonianza è mezzo di prova tipico di quasi tutti i processi. In linea di massima, chi vuole avvalersi di testimoni deve farne richiesta, entro i tempi e con le modalità stabilite, all’autorità giudiziaria, la quale autorizzerà la parte interessata alla citazione. Solamente tale consenso rende la testimonianza un obbligo per chi è chiamato a deporre: l’ufficio del testimone, infatti, è obbligatorio per legge, nel senso che la persona chiamata a testimoniare non può tirarsi indietro adducendo motivazioni varie. Quindi, se il tuo nome compare nella lista dei testimoni di una parte processuale, nel momento in cui ti arriverà la citazione a casa dovrai rispondere presente, nel senso che dovrai recarti in tribunale nel giorno e nell’ora che ti sarà indicata. Nel caso in cui tu sia assolutamente impedito (per motivi di salute o per ragioni improcrastinabili di lavoro), dovrai inviare tempestivamente una giustificazione; in questo caso, verrai citato nuovamente per l’udienza successiva.

Testimone: si può pagare?

Possiamo ora affrontare il tema principale: pagare un testimone è reato? Abbiamo visto che, nel momento in cui il giudice ammette il testimone richiesto dalla parte, egli sarà obbligato a prestare questo servizio, in quanto la sua deposizione è ritenuta fondamentale ai fini di giustizia. Perciò, pagare un testimone per rendere una testimonianza è del tutto superfluo, talvolta addirittura illegale. Sebbene spesso accada che il testimone intenda essere “invogliato” per recarsi in tribunale, devi sapere che il testimone non ti sta facendo un favore: il suo è un obbligo giuridico vero e proprio, il cui inadempimento è sanzionato con un’ammenda fino a cinquecento euro.

Ma cosa succede se si paga un testimone? Il codice penale punisce con la reclusione chiunque offre o promette denaro o altra utilità alla persona chiamata a rendere dichiarazioni davanti all’autorità giudiziaria ovvero alla persona richiesta di rilasciare dichiarazioni dal difensore nel corso dell’attività investigativa, o alla persona chiamata a svolgere attività di perito, consulente tecnico o interprete, per indurla a dire il falso o a tacere. Le pene sono aumentate se è stata utilizzata violenza o minaccia [1]. Vediamo gli aspetti principali di questa figura delittuosa.

Pagare un testimone: è intralcio alla giustizia?

Il reato appena citato, definito come intralcio alla giustizia o subornazione, consiste nel tentativo di pagare un testimone per indurlo a mentire o a tacere in occasione della sua audizione davanti al giudice, al pubblico ministero oppure al difensore che svolge le investigazioni difensive. In effetti, questo delitto si integra solamente se il testimone rifiuti l’offerta oppure la accetti ma non commetta falsità: qualora il testimone si vendesse realmente al suo “compratore” allora si integrerebbero i diversi e autonomi reati di concorso in falsa testimonianza, false dichiarazioni rilasciate al p.m. oppure al difensore.

Pagare un testimone è un reato comune, nel senso che può essere commesso da chiunque, non solamente dalla parte processuale che vuole giovarsi delle false dichiarazioni del teste. La condotta consiste nel dare, offrire o promettere denaro o altre utilità (ad esempio, la promessa di un posto di lavoro) ad una persona chiamata a collaborare con la giustizia (inclusi periti, interpreti e consulenti tecnici) con l’intento di farla mentire o tacere su circostanze rilevanti per il procedimento. La pena è aumentata se quest’obiettivo viene perseguito con violenza o minaccia, anziché con promessa di pagamento.

Pagare un testimone: è sempre reato?

Il delitto di intralcio alla giustizia non punisce il pagamento in sé per sé delle persone anzidette (testimoni, periti, consulenti tecnici, interpreti), bensì la remunerazione finalizzata al mendacio delle stesse. In altre parole, se paghi un testimone per farlo mentire commetti reato: classico esempio è il testimone prezzolato che accetta di deporre come persona che ha assistito a un sinistro stradale quando in realtà non era affatto presente al momento del fatto. E commetterai reato a prescindere che il teste da te assoldato stia al tuo gioco oppure no: ben potrebbe anche decidere di intascare il compenso e, poi, di deporre secondo coscienza.

Dalla norma si evince una conseguenza importante: pagare un testimone affinché deponga il vero non costituisce reato; il pagamento, come anzidetto, è illecito solamente se volto ad incentivare il teste a mentire.

Ugualmente, pagare un testimone non è reato se la persona a cui si offrono danaro o altre utilità non abbia ancora acquisito formalmente la qualità di teste, cioè non sia già stato formalmente designato dal giudice quale testimone. Secondo i giudici, ad esempio, non ha ancora acquistato tale qualità la persona che sia stata solamente esaminata dalla polizia giudiziaria [2].

In particolare, nel processo penale la qualità di persona chiamata a rendere dichiarazioni davanti all’autorità giudiziaria si assume nel momento dell’autorizzazione del giudice alla citazione della stessa, cioè con l’ammissione formale della lista testimoniale [3]. Nel processo del lavoro, invece, non integra il delitto in questione colui che induce a rendere falsa testimonianza chi sia stato solamente indicato come testimone nel ricorso proposto davanti al giudice, visto che in tale momento questi non ha ancora assunto formalmente la qualifica di teste [4].

note

[1] Art. 377 cod. pen.

[2] Cass., sent. n. 1789 del 22.03.1968.

[3] Cass., sent. n. 37503 del 07.11.2002.

[4] Cass., sent. n. 35150 del 10.09.2009.

FONTE

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