Se c’è una cosa che ogni automobilista teme più di restare senza benzina o di finire con la ruota in una buca stradale, o di entrare per sbaglio in una zona a traffico limitato o di essere fermato da un controllo della polizia, è di venire fotografato da un autovelox. Cadere nella trappola dei misuratori elettronici della velocità è molto facile quando gli apparecchi sono calibrati in modo da entrare in azione non appena si supera di poco il limite di velocità. E questo perché, in gran parte dei casi, i suddetti limiti sono stati fissati sulla base di auto prodotte decenni fa, quando le prestazioni e le reazioni meccaniche erano completamente diverse. Le stesse frenate richiedevano tempi superiori rispetto a quelle che oggi i meccanismi elettronici garantiscono. Risultato: rassicurati dalle prestazioni dei moderni veicoli si spinge più facilmente sull’acceleratore e, con altrettanta facilità, si viene multati. Se dovesse arrivare una multa per autovelox di poche decine di euro è preferibile pagare nei primi cinque giorni rispetto al ricorso: usufruendo dello sconto del 30% ci si può togliere il problema in modo piuttosto indolore. Meglio riservare l’impugnazione ai casi più seri, quando gli importi sono elevati e la sottrazione dei punti dalla patente rischia di lasciare a piedi l’automobilista. Dall’altro lato, far finta di niente è rischioso perché, prima della prescrizione dei cinque anni, potrà arrivare la famigerata cartella di pagamento. Prendere una decisione – e in tempi piuttosto brevi – è quindi necessario per evitare mali peggiori. A tal fine è bene sapere come contestare l’autovelox: i motivi di ricorso, se anche si contano ormai sulla punta delle dita, possono comunque  costituire una valida scappatoia.

Di tanto ci occuperemo in questo articolo. Cercheremo di spiegare cioè quali sono le possibili contestazioni contro l’autovelox che il trasgressore può sollevare entro 30 giorni davanti al giudice di pace. Contestazioni che, certo, davanti al Prefetto troverebbero difficile accoglimento essendo un organo non terzo e imparziale come il giudice, ma tenuto solo a controllare il corretto funzionamento dell’amministrazione. Il che significa che solo in presenza di vizi macroscopici, in via di autotutela, tenderà a sgravare la multa.

È vero: non per questo il ricorso al giudice è più semplice. Non fosse altro che, a parte il pagamento del contributo unificato (non meno di 40 euro) è necessario anche rispettare l’iter del processo e, se del caso, munirsi di un avvocato. Con tempi e costi che lievitano. Ecco perché, sapere in anticipino quando e come contestare l’autovelox può risultare d’aiuto: perché consentirà di fare una scrematura tra i vizi che trovano ancora accoglimento nelle aule dei tribunali e quelli che invece sono solo un terno al lotto.

Procediamo dunque con ordine e vediamo quando il ricorso contro la multa ha maggiori chance di accoglimento.

Omologazione e taratura dell’autovelox: due motivi di contestazione sempre validi

I due principali motivi su cui puntare quando è in gioco la contestazione di una multa per autovelox sono la verifica dell’omologazione e della taratura dell’autovelox. La polizia stradale o il Comune devono mostrare all’automobilista che ne faccia richiesta:

  • il certificato di previo collaudo che viene rilasciato all’atto del primo utilizzo dell’apparecchio e che non deve essere più rinnovato;
  • il certificato di periodica taratura, che deve avvenire almeno una volta all’anno. Secondo la Cassazione è nullo il verbale per multa di autovelox se non indica la data dell’ultima taratura eseguita. Per gli autovelox utilizzati sulle strade ad alta velocità (ad esempio autostrade), la taratura – che comunque viene eseguita da società private – va effettuata in un autodromo. In tutti gli altri casi, invece, questa accortezza non è necessaria.

Secondo un orientamento ormai costante della Cassazione, di recente ribadito da una sentenza di questi giorni sempre a firma della stessa Corte [1], secondo cui le risultanze dell’autovelox sono sufficienti a dimostrare, da sole, l’infrazione per superamento dei limiti di velocità da parte dell’automobilista, salvo «sia accertato, nel caso concreto, sulla base di prove fornite dall’automobilista, il difetto di costruzione, istallazione o funzionamento del dispositivo elettronico» [2]. A questo principio deve aggiungersi la previsione, introdotta dalla Corte Costituzionale [3], che l’apparecchiatura utilizzata deve essere omologata e sottoposta a periodiche verifiche.

In presenza di un certificato di taratura, del quale non sia contesta la provenienza da soggetto abilitato all’adempimento, non è dato al giudice verificare le modalità con le quali la stessa taratura è stata effettuata.

Alla taratura deve seguire la verifica di corretta funzionalità (integrità e buon funzionamento dell’apparecchio), che va eseguita anche dall’organo di polizia prima dell’uso su strada e quasi sempre si limita a un’autodiagnosi dello strumento; se rileva problemi li segnala o si mette automaticamente fuori servizio. Il poliziotto non è tenuto a redigere un verbale prima dell’inizio delle operazioni, ma se lo fa deve riportare sulla multa di aver preliminarmente eseguito il controllo del funzionamento dell’autovelox.

Segnaletica dell’autovelox: doppio obbligo

Un altro tipico motivo per contestare l’autovelox riguarda il rispetto degli obblighi di segnaletica. Chiariamo una cosa che spesso porta in errori gli automobilisti: il cartello che segna i limiti di velocità non è obbligatorio poiché, in suo difetto, valgono i limiti previsti dal codice della strada, che operano in automatico anche in assenza di segnaletica.

Quel che invece è obbligatorio è il cartello che indica la presenza del controllo elettronico della velocità. E questo cartello deve rispettare alcune regole. Innanzitutto deve essere presente – poiché se manca il verbale è impugnabile – e anche visibile, ossia non può essere coperto dalle piante o altri cartelli (anche pubblicitari). In caso contrario la contravvenzione è nulla, ma bisognerà scattare qualche foto per dimostrare al giudice la circostanza.

In secondo luogo la segnaletica in questione deve trovarsi a una distanza adeguata dall’autovelox. Non è fissata una misura in metri o chilometri perché tutto dipende dal tipo di strada e dalla velocità di percorrenza. Sulle autostrade, il segnale deve essere dato con anticipo rispetto ai centri urbani o sulle strade periferiche.

Infine il cartello deve essere ripetuto almeno ogni 4 chilometri. Se ad esempio la postazione della polizia dovesse trovarsi a distanza di oltre 4 km dal cartello con l’avviso la multa potrebbe essere impugnabile.

Altro errore comune che si commette è quello di ritenere illegittima la contravvenzione quando la postazione della polizia – seppur presegnalata – non è visibile. Secondo la Cassazione, invece, gli agenti nascosti da un cespuglio o da un albero non invalidano la multa. La direttiva Minniti del 2017 ha invece disposto un principio diverso. Le postazioni di controllo per il rilevamento della velocità devono anche essere ben visibili, il che significa:

  • per gli autovelox piantati in forma stabile e fissa (si pensi a quelli contenuti nei box) senza bisogno della presenza della polizia è necessaria la collocazione su di essi, o nelle immediate vicinanze, di un segnale di indicazione riportante il simbolo dell’organo di polizia o una breve iscrizione del corpo o servizio di polizia operante se non riconoscibile con uno specifico simbolo;
  • per gli autovelox con postazioni mobili (quelle cioè sul cavalletto che vengono montate e smontate all’occorrenza) è necessario che vi sia la presenza dal poliziotto in uniforme o ricorrendo, ove possibile, all’impiego di auto della polizia di servizio con colori istituzionali o con l’utilizzo di un segnale di indicazione riportante il simbolo dell’organo.

Ultimo aspetto: la segnaletica deve spiegare quale tipo di controllo viene eseguito. Ad esempio, non si può fare una multa con autovelox se il cartello dice che viene effettuato il controllo elettronico sulla velocità “media”, poiché in tal caso è possibile solo la multa tramite tutor.

Se non vuoi perdere i punti sulla patente

Una recente sentenza della Cassazione [4] ha offerto un valido appiglio per non perdere i punti della patente a seguito di multa con autovelox, anche se la contravvenzione non viene impugnata davanti al giudice. All’ordine intimato al titolare del veicolo di trasmettere alla polizia, entro 60 giorni, i dati dell’effettivo conducente – adempimento a cui consegue poi la sottrazione dei punti – l’intimato può rispondere dichiarando di non essere in grado di ricordare chi fosse alla guida del mezzo. Il che succede quando è passato molto tempo dall’infrazione e l’auto è condivisa da più familiari. Non esiste una norma che obblighi di ricordare.

Secondo la Suprema Corte deve «essere riconosciuta al proprietario del veicolo la facoltà di esonerarsi da responsabilità, dimostrando l’impossibilità di rendere una dichiarazione diversa da quella negativa». La legge infatti sanziona il rifiuto della condotta collaborativa, e non la mera omessa collaborazione, necessaria ai fini dell’accertamento delle infrazioni stradali. Ne consegue, ha proseguito la Cassazione, che, se resta in ogni caso sanzionabile la condotta di chi semplicemente non ottempera alla richiesta di comunicazione dei dati personali e della patente del conducente, viceversa laddove la risposta sia stata fornita, ancorché in termini negativi, resta devoluta alla valutazione del giudice di merito la verifica circa l’idoneità delle giustificazioni fornite dall’interessato. Valutazione che, nel caso in esame, ha valorizzato da un lato il decorso del tempo tra la data dell’infrazione e quella di richiesta delle informazioni e dall’altro il fatto che la vettura fosse utilizzata abitualmente da quattro diverse persone.

note

[1] Cass. sent. n. 18354/18 del 12.07.2018.

[2] Cass. sent. n. 10212/2005

[3] C. Cost. sent. n. 113/15.

[4] Cass. sent. n. 9555/18.

Sentenza

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, sentenza 10 novembre 2016 – 12 luglio 2018, n. 18354

Presidente Petitti – Relatore Correnti

Fatto e diritto

Il Comune di Imola propone ricorso per cassazione avverso la sentenza del Tribunale di Bologna che ha rigettato il suo appello relativo alla sentenza del Giudice di pace di Imola che, accogliendo il ricorso proposto da G.C., aveva annullato il verbale con il quale gli era stata contestata la violazione dell’art. 142 codice della strada.

Il Tribunale, premesso che la sanzione era stata accertata con autovelox Traffiphot III SR – Photo R&V matr. (omissis), omologata con decreto n. 4139/2004 del Ministero dei trasporti, e che tale apparecchiatura era stata sottoposta dall’amministrazione comunale a verifiche periodiche attestate dal relativo certificato, contestato dal G., ha affermato che era onere dell’amministrazione provare che le specifiche incongruenze dedotte circa le modalità di verifica non avevano alterato il risultato della certificazione.

Il Comune di Imola, con un primo motivo, denuncia vizio di motivazione omessa, insufficiente o contraddittoria in ordine alla ritenuta inidoneità della taratura cui era stata sottoposta l’apparecchiatura utilizzata nel caso di specie.

Con il secondo motivo, deduce violazione o falsa applicazione degli artt. 142 e 23 della legge n. 689 del 1981, nonché contraddittorietà della motivazione, dolendosi del fatto che il Tribunale, pur dando atto che il Comune aveva depositato il certificato di taratura dello strumento attestante il buon esito della stessa, abbia poi ritenuto che le generiche contestazioni dell’opponente erano idonee ad inficiare tale risultato.

Con il terzo motivo, il Comune denuncia violazione degli artt. 142 e 45 del codice della strada e della legge n. 273 del 1991, sostenendo che le apparecchiature di rilevazione della velocità non debbono essere sottoposte a taratura.

Il primo motivo è inammissibile, perché, trattandosi di decisione pubblicata nel 2014, ad essa si applica la nuova formulazione dell’art. 360, n. 5, c.p.c., che non prevede più quale vizio deducibile in cassazione l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, essendo invece proponibile la censura di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti, nel mentre la motivazione.

Le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito che “la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Cass., S.U., n. 8053 del 2014).

All’evidenza, la sentenza impugnata non incorre in tale tipologia di vizio.

Il terzo motivo, all’esame del quale occorre procedere in via prioritaria per ragioni di ordine logico, è infondato atteso che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 113 del 2015, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 45, comma 6, del d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285, nella parte in cui non prevede che tutte le apparecchiature impiegate nell’accertamento delle violazioni dei limiti di velocità siano sottoposte a verifiche periodiche di funzionalità e di taratura.

È invece fondato il secondo motivo.

Premesso che, come detto, la taratura dell’apparecchiatura di rilevazione della velocità deve essere sottoposta a taratura periodica, deve rilevarsi che, nella specie, lo stesso Tribunale ha dato atto dell’avvenuto deposito, da parte del Comune di Imola, del certificato di taratura dell’apparecchiatura in concreto utilizzata. Il Tribunale ha però ritenuto di poter disattendere la detta certificazione, dando seguito alle incongruenze evidenziate dall’opponente in ordine alle modalità di effettuazione della verifica. Ha quindi ritenuto che il Comune fosse onerato della prova che le specifiche incongruenze dedotte dall’automobilista circa le modalità di verifica non avessero alterato il risultato della certificazione.

In tal modo, il Tribunale non ha tenuto conto del principio per cui “in materia di violazione delle norme del codice della strada relative ai limiti di velocità, l’efficacia probatoria dello strumento rivelatore del superamento di tali limiti (autovelox) opera fino a quando sia accertato, nel caso concreto, sulla base di circostanze allegate dall’opponente e debitamente provate, il difetto di costruzione, installazione o funzionamento del dispositivo elettronico” (Cass. n. 10212 del 2005). Principio, questo, che ovviamente, per effetto dell’intervenuta dichiarazione di illegittimità costituzionale di cui si è detto, deve oggi essere integrato con la previsione che l’apparecchiatura utilizzata sia omologata e sottoposta alle verifiche periodiche. Ma, nella specie, è proprio questo che è avvenuto, atteso che il certificato di taratura era esistente ed è stato depositato, come affermato dallo stesso Tribunale.

D’altra parte, in presenza di un “certificato” di taratura, del quale non sia contestata la provenienza da soggetto abilitato all’adempimento, non è dato al giudice di merito di spingere il proprio esame sino alla verifica delle modalità con le quali la stessa taratura è stata effettuata.

Il secondo motivo è dunque fondato.

Consegue la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio, per nuovo esame della causa alla luce del richiamato principio di diritto, al Tribunale di Bologna, in persona di diverso magistrato.

Al giudice di rinvio è demandata altresì la regolamentazione delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il primo motivo di ricorso, rigetta il terzo e accoglie il secondo; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di legittimità, al Tribunale di Bologna, in persona di diverso magistrato.

FONTE: LA LEGGE PER TUTTI

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.